Per fare un omaggio ad un’amica mi cimento con uno dei pilastri della letteratura europea contemporanea: Nazim Hikmet, poeta turco.
Vissuto nella prima metà del ‘900 fu costretto a lasciare il suo paese per motivi politici, era comunista. Passò il resto della vita come esule in giro per il mondo e a morire in esilio, a Mosca.
Apro una parentesi personale. Ho scritto ‘900 ma ancora faccio fatica ad abituarmi all’idea che mi trovo in un altro secolo. Ero abituato a scrivere ‘800 o ‘700 e così via. Non avevo mai pensato di dovermi abituare a considerare il “mio” secolo al passato. Vi assicuro che non è facile. Quindi abbiate pazienza di un povero vecchio del secolo passato.
Tornando a Nazim Hikmet. Per le sue idee politiche passò diversi anni della sua vita in prigione e in regime durissimo. Fu anche condannato a morte. Alla notizia ci fu una mobilitazione da parte del mondo culturale, specie in Francia, che portò alla sua scarcerazione. Le voci di un suo nuovo arresto lo convinsero a lasciare il paese, per non dire che fuggi in modo rocambolesco, e a rifugiarsi in Russia. Girò molto per l’Europa fino agli anni ’60. Come detto morì a Mosca in seguito all’ennesima crisi cardiaca.
Le poesie che scelgo, tre come al solito, sono tra quelle d’amore. Una in particolare, qualche decennio fa, veniva stampata sulle magliette.
Ugo Tartarugo
1942
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.
Mosca, 1959
Ti amo come se mangiassi il pane spruzzandolo di sale
come se alzandomi la notte bruciante di febbre
bevessi l’acqua con le labbra sul rubinetto
ti amo come guardo il pesante sacco della posta
non so che cosa contenga e da chi
pieno di gioia pieno di sospetto agitato
ti amo come se sorvolassi il mare per la prima volta in aereo
ti amo come qualche cosa che si muove in me
quando il crepuscolo scende su Istanbul poco a poco
ti amo come se dicessi Dio sia lodato son vivo.
1959
Non ha strappato le ali alle mosche quando era piccolo
non ha legato barattoli alla coda dei gatti
né imprigionato scarafaggi
nelle scatole di fiammiferi
non ha distrutto le case
delle formiche.
E diventato grande.
E vedete il male che gli hanno fatto.
Quando è morto, ero al suo capezzale
e mi ha detto: «leggimi una poesia
che canti il sole e il mare
le officine atomiche la luna artificiale
che canti la grandezza dell’uomo».
Roma, 1960
Quante donne belle ci sono al mondo
quante belle ragazze
s’affacciano sulle terrazze della città
contemplale vecchio
contemplale e mentre da un canto i tuoi versi
si fanno più tersi e lucenti
dall’altro
devi contrattare cercando di tirarla in lungo
con la morte che ti sta accanto.