Visto che sono ancora qui, nessuno mi ha ancora cacciato via, continuo, imperterrito, a fare danni.
Stavolta su alcuni modi di dire italiani. Come dire… qualcosa terra, terra.
Il primo al quale ho pensato è “Stare come il culo con le quarant’ore“
Quando ne ho letto per la prima volta ne parlavano come di un detto nato da un episodio accaduto nel duomo di Sant’Antonio a Padova. Poi ho letto che ne esiste anche una versione ambientata a Firenze. Forse ce ne sono altre ambientate in altre città. Dovunque si sia svolta, ecco i fatti.
In una chiesa, Padova o Firenze o chissà dove, piena di gente per la celebrazione delle quaranta ore, una signora si sente toccare, alcune versioni dicono ‘palpare’ il sedere. Si volta e vede che il responsabile è un uomo. La donna proteste per quel gesto irrispettoso. L’uomo cerca di giustificarsi, volendo dire che non lo aveva fatto intenzionalmente, affermando: «Signora, sono le quarant’ore». Questo per dire che la chiesa piena di gente lo costringeva ad una vicinanza eccessiva e che il gesto era involontario. La donna indispettita risponde: «Cosa c’entra il culo con le quarant’ore?».
Dall’episodio appena citato nasce il detto “Stare come il culo con le quarant’ore” per indicare qualcosa che non ha attinenza con quanto si sta facendo o di cui si sta discutendo.
Oggi si direbbe: “Stare come i cavoli a merenda“.
Altro detto noto è: “Troppa grazia Sant’Antonio“.
Sembra sia nato da un’avventura accaduta ad un mercante. Questo non riusciva a montare a cavallo e per riuscirci abbia chiesto una grazia a Sant’Antonio da Padova, verso il quale era devoto. Subito dopo per montare a cavallo da uno slancio così forte che monta a cavallo, lo scavalca e finisce dall’altra parte cadendo a terra. Da terra il mercante si rivolge al santo dicendogli: “Troppa grazia Sant’Antonio“.
Ovviamente si cita quando si riceve un beneficio superiore a quello richiesto.
Oggi si dice anche: “Grasso che cola“.
Finisco con un altro dei detti noti: “Mettere i puntini sulle ‘i’.
Nell’evoluzione della grafia ci su un momento in cui si incominciò, da parte di alcuni, a segnare un punto sopra la ‘i’ (che non l’aveva), per distinguerla meglio dagli altri segni verticali. Questo sembrò, a qualcuno, un eccesso di cura.
Oggi ha il significato di affermare una cosa senza il minimo dubbio o esitazione; esagerare nella precisione.
Messi i puntini sulle ‘i’, vi saluto.
Ugo Tartarugo